Malamurì

Malamurì Malamurì
Una leggenda narra che questo borgo fosse abitato, un tempo, da un tenace capofamiglia al quale capitavano disgrazie e malanni che misero più volte alla prova la sua salute.

Quando non parevano esserci possibilità di salvezza e tutti si preparavano al peggio, ecco che l’uomo si riprendeva e tornava alla vita di tutti i giorni. Per questo suo attaccamento alla vita e gli “scherzi” che l’uomo faceva alla morte, gli venne dato come soprannome proprio malamurì, che diventò anche il nome dello stazzo e quindi, dell’attuale borgo. Non erano anni facili, soprattutto in località come queste in cui la vicinanza degli stagni era un rischio per la malaria. Nella zona c’erano alcuni medici e non mancavano i rimedi naturali: lu capumiddu, la camomilla, fungeva da sedativo e la palmuccia, la malva, da antinfiammatorio e analgesico. Comunque sia i decessi, soprattutto infantili, erano quasi all’ordine del giorno.

IL CULTO DELLA MORTE

Quando a Malamurì, ma anche negli altri borghi, moriva qualcuno, la comunità si mobilitava per dare una mano alla famiglia colpita dal lutto. Gli uomini si occupavano di costruire artigianalmente la bara, mentre le donne preparavano i pasti e badavano ai bambini. Durante la veglia arrivavano le prefiche, le donne che inscenavano il lamento funebre raccontando in modo cantilenato e in rima la vita del defunto. A quanto pare le prefiche galluresi non prendevano compensi, mentre è risaputo che in altre zone della Sardegna queste fossero pagate per il servizio. Dopo il lamento funebre e la chiusura della bara, si andava alla messa: a questa, però, potevano partecipare solo gli uomini, mentre le donne venivano escluse dalla cerimonia. Da questo momento iniziava il periodo del lutto per tutta la famiglia: i parenti stretti si astenevano dal partecipare a cerimonie festose e anche dal preparare dolci fatti in casa. Tutte le mansioni “allegre” dovevano essere rinviate a tempi migliori. Per fortuna lo spirito di comunità e solidarietà emerge sempre, nei piccoli borghi: i vicini di casa, durante le feste, donavano una parte dei dolci preparati per l’occasione alle famiglie in lutto, come per dare conforto. In seguito alla morte di un famigliare, per un determinato lasso di tempo, i componenti della famiglia indossavano, secondo gli usi e i costumi, una fascia nera sul braccio, dimostrando quindi di “portare il lutto” anche negli eventuali momenti di socialità. La madre che perdeva un figlio teneva il lutto per tutta la vita, la vedova fino al prossimo matrimonio, i figli per due anni, le sorelle o i fratelli invece per uno solo. Spesso gli uomini si facevano crescere la barba, in segno di lutto.

LA NASCITA

Se le morti erano frequenti, anche le nascite non erano da meno: le famiglie erano numerose, spesso composte da otto/dieci figli e ogni nascita era un evento da festeggiare.

Quando le donne comunicavano di essere in attesa, i parenti e gli amici facevano a gara per indovinare il sesso del nascituro. Studiavano attentamente la pancia: una leggera sporgenza in avanti indicava che sarebbe stata una bambina, mentre una pancia arrotondata indicava un maschietto. Un’altra cosa alla quale si stava molto attenti, era evitare di parlare di cibi come frutta o verdura difficilmente reperibili nella stagione della gravidanza: si sa che le donne in attesa spesso sono preda di voglie, e la loro insoddisfazione causava, secondo la mentalità del tempo, una macchia più o meno estesa sul corpo del nascituro. 

COME ARRIVARE?
Da Olbia prendete la SS131 DCN direzione Nuoro. Dopo circa trenta chilometri prendete l’uscita Budoni/Agrustos e imboccate la SP1 seguendo le indicazioni per Malamurì. 
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